Reati contro la famiglia: Omesso versamento assegno di mantenimento: la prescrizione decorre dalla sua cessazione

11 febbraio 2016

L'omesso versamento dell'assegno di mantenimento ha natura permanente e la prescrizione decorre dalla sua cessazione. Secondo la Sent. n. 3741 del 2016 della Sezione VI della Suprema Corte, il reato di cui all'art. 570 c.p. ha natura permanente e la sua consumazione si protrae unitariamente per tutto il periodo in cui perdura l'omesso adempimento, con la conseguenza che il termine di prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione della permanenza, coincidente col sopraggiunto pagamento o con l'accertamento della responsabilità nel giudizio di primo grado. Inoltre, qualora, ai fini di escludere la responsabilità penale, venga eccepita l'incapacità economica dell'imputato, questa deve essere assoluta, sì da integrare una situazione di persistente, oggettiva e incolpevole indisponibilità di introiti.
di Luca Monticelli - Avvocato in Reggio Emilia e Professore a contratto in diritto penale presso Università di Parma
Il fatto

La Corte d'appello di Napoli, con sentenza del 25 febbraio 2014, ha confermato la sentenza del Tribunale di S. Maria C.V. - sezione di Carinola con cui è stato condannato alla pena di due mesi di reclusione e di €69,00 di multa un uomo in ordine al reato di cui all'art. 570 c.p., per avere omesso il versamento dell'assegno di mantenimento in favore della moglie separata, inizialmente fissato in €361,00 mensili e poi ridotto, a far data dal 21 maggio 2002, a €160,00.

Il ricorso

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, chiedendone l'annullamento per violazione di legge e per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché per manifesta illogicità della motivazione, adducendo, nell'unico motivo, le seguenti doglianze:

- intervenuta prescrizione del reato, anche considerando che il capo di imputazione indicava la data del 4 novembre 2002, ritenendo che la permanenza cessi col compimento dell'azione che pone fine alla condotta illecita oppure per la sopravvenuta impossibilità della prestazione o, ancora, per effetto del venir meno dello stato di bisogno del beneficiario dell'assegno;

- cessazione del pagamento per sopravvenuta impossibilità economica (considerando comprovata documentalmente), ritenendo il contrario convincimento del giudice di prime cure il frutto di una semplice deduzione priva di adeguata motivazione;

- non poteva ipotizzarsi che la moglie beneficiaria fosse in grado di sostentarsi con la modesta somma di €161,00 mensili, dovendo reputarsi che la stessa avesse iniziato a lavorare e si fosse trasferita presso i genitori, avendo così (paradossalmente) migliorato la sua condizione dal 2002.

La decisione della Cassazione

In ordine alla prima questione sollevata, la Corte ha affermato che per quanto riguarda la natura permanente del reato de qua, è principio consolidato ritenere che la sua consumazione si protrae unitariamente per tutto il periodo in cui perdura l'omesso adempimento, con la conseguenza che, anche con riferimento alla fase iniziale della condotta illecita, il termine di prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione della permanenza, coincidente con il sopraggiunto pagamento o con l'accertamento della responsabilità nel giudizio di primo grado (in tali termini, Cass. Pen., Sez. VI, 19 dicembre 2013, n. 51499; Cass. Pen., Sez. VI, 28 luglio 2015, n. 33220).

Correttamente, pertanto, il giudice distrettuale ha escluso potesse dirsi maturata la prescrizione, avendo ritenuto protratta la condotta illecita dell'agente quantomeno fino alla data dell'esame della parte offesa (ossia, fino al 14 gennaio 2009), a nulla valendo -in senso contrario- che il primo giudice avesse indicato una data successiva (29 luglio 2010) l'epoca di maturazione della citata causa estintiva, malamente assumendo la data di accertamento del reato, quale risultante dal capo d'accusa, ai fini dell'individuazione del dies a quo, da cui iniziare il computo del termine di legge.

In proposito, infatti, è doveroso ricordare che in tema di reati contro la famiglia, le condotte di inadempimento degli obblighi di natura economica come quella di cui all'art. 570 c.p. costituiscono un unico reato permanente, la cui consumazione termina con l'adempimento integrale dell'obbligo oppure con la data di deliberazione della sentenza di primo grado, quando dal giudizio emerga espressamente che l'omissione si è protratta anche dopo l'emissione del decreto di citazione a giudizio (in tali termini anche Cass. Pen., Sez. VI, 4 dicembre 2003, n. 7191).

Inoltre, altrettanto infondate risultano le ulteriori doglianze, soprattutto in ordine alla sopravvenuta impossibilità ad adempiere. Sul punto, infatti, è bene ricordare che la stessa Suprema Corte precisa che l'incapacità economica dell'imputato -per risultare motivo di non punibilità dell'omissione- deve essere assoluta, sì da integrare una situazione di persistente, oggettiva e incolpevole indisponibilità di introiti (in proposito, da ultimo, cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 24 giugno 2015, n. 33997).

Tale condizione non momentanea, invero, deve essere documentata con rigore da chi la prospetta in termini di forza maggiore o, comunque, essere oggetto di precisa e circostanziata allegazione (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 11 marzo 2014, n. 16450), che nella specie non è risultata rinvenibile.

Infine, anche il prospettato miglioramento di vita, per essere, la moglie, andata a vivere coi genitori, è stato ritenuto infondato.

In proposito, infatti, è regola ormai incontrastata quella secondo cui l'ausilio economico di terze persone in favore del beneficiario non incide in alcun modo sulla persistenza, in capo all'imputato, dell'obbligo di mantenimento, sicché il reato si configura anche se taluno si sostituisca all'inerzia del soggetto tenuto alla somministrazione dei mezzi di sussistenza (per tutti, si veda Cass. Pen., Sez. VI, 21 marzo 2012, n. 40823).

La decisione in sintesi

Esito del ricorso:

Rigetto del ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Precedenti giurisprudenziali:

Cass. Pen., Sez. VI, 4 dicembre 2003, n. 7191;

Cass. Pen., Sez. VI, 21 marzo 2012, n. 40823;

Cass. Pen., Sez. VI, 19 dicembre 2013, n. 51499;

Cass. Pen., Sez. VI, 11 marzo 2014, n. 16450;

Cass. Pen., Sez. VI, 24 giugno 2015, n. 33997;

Cass. Pen., Sez. VI, 28 luglio 2015, n. 33220.

Riferimenti normativi:

Art. 570 c.p.

Cass. Pen., Sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 3741

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