Il conto corrente condominiale può essere pignorato dal creditore del condominio

07 gennaio 2016

La pignorabilità del conto corrente condominiale non è esclusa dal disposto dell'art. 63 disp.att.c.c. laddove prevede l'obbligo del creditore di preventivamente escutere il patrimonio del condomino moroso, valendo il beneficio delle preventiva escussione solamente a favore dei condomini virtuosi e non del condominio.

di Augusto Cirla - Avvocato in Milano
Il primo comma dell'art. 63 disp.att.c.c., così come modificato dalla L. n. 220 del 2012, prevede l'obbligo dell'amministratore del condominio di comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi, mentre il successivo secondo comma stabilisce che detti creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini morosi a loro comunicati.

Nonostante l'infelice contenuto delle predette disposizioni, il creditore che debba esigere il credito dal condominio dapprima agirà nei confronti del condominio stesso per ottenere un titolo esecutivo e soddisfare coattivamente le proprie ragioni creditorie. Il condominio, pur inteso come ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, continua comunque a rimanere il debitore principale, al punto che, se le sue condizioni patrimoniali saranno tali da consentire l'integrale ristoro delle ragioni creditorie, l'esecuzione coattiva determinerà l'estinzione del debito e la integrale soddisfazione del creditore.

In caso contrario il creditore insoddisfatto in tutto o in parte dovrà, giusto il disposto del nuovo secondo comma dell'art. 63, innanzitutto indirizzare le proprie richieste nei confronti dei creditori morosi i cui nominativi gli devono essere comunicati dall'amministratore, a seguito di espressa istanza a questi rivolta. Il creditore insoddisfatto dovrà dunque iniziare e proseguire le azioni esecutive avverso tutti i condomini morosi: solo all'esito dell'infausto esperimento di tali azioni il creditore potrà agire avverso i condomini in regola con il pagamento dei contributi condominiali i quali rivestono una posizione di garanzia, sia pure in veste sussidiaria, circa l'adempimento di quanto non adempiuto dai morosi e nei limiti del debito ancora residuo.

Il rischio per gli adempimenti di vedersi attaccare i propri beni, benché non escluso (la sussidiarietà non esclude infatti la solidarietà), non è certo immediato, se si considera che normalmente il creditore agisce in primo luogo chiedendo il pignoramento e poi la vendita dell'immobile del condomino moroso e che tale procedura richiede per la sua conclusione un tempo abbastanza lungo.

Il legislatore della riforma, riprendendo a ben vedere il concetto di parziarietà delle obbligazioni condominiali già sancito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la Sent. n. 9148 del 2008, null'altro ha fatto se non salvaguardare ancor più la posizione del condomino virtuoso rispetto al moroso, prevedendo in suo favore quel beneficium excussionis che gli consente di essere eventualmente chiamato al pagamento in luogo del moroso solo in via sussidiaria, cioè solo dopo che il patrimonio di quest'ultimo sia stato inutilmente escusso.

Sulla base di tale ragionamento il Tribunale di Ascoli Piceno, con sentenza n. 1287 pubblicata in data 26 novembre 2015, ha ritenuto legittimo il precetto di pagamento intimato al condominio da parte di un suo creditore, sul presupposto che beneficio di preventiva escussione dei condomini morosi, previsto dal secondo comma dell'art. 63 disp.att.c.c., è dettato a favore non già del condominio, bensì dei condomini che hanno regolarmente versato gli oneri condominiali.

Ottenuto un decreto ingiuntivo in danno del condominio, il creditore aveva provveduto alla pedissequa notifica dell'atto di precetto, avverso il quale aveva proposto opposizione il condominio sostenendo la propria carenza di legittimazione, avendo l'amministratore provveduto alla tempestiva comunicazione del nominativo dei condomini morosi. A dire del condominio, il creditore avrebbe dovuto agire preventivamente nei confronti di quest'ultimi, fornendo semmai la prova di avere inutilmente escusso l'intero loro patrimonio.

Di diverso avviso era il creditore, che costituendosi in giudizio aveva sostenuto che l'obbligo di escutere preventivamente i morosi sancito dall'art. 63, comma 2, disp.att.c.c. sussisteva solo nel caso in cui si fosse ritenuto di agire nei confronti dei condomini adempienti e che non costituiva ostacolo alla diretta escussione del patrimonio del condominio, quale primario suo debitore. Nessuna norma stabilisce invero l'onere di preventiva escussione del condomino rispetto ad una azione esecutiva validamente intrapresa nei confronti del condominio

Tale tesi veniva totalmente accolta dal Tribunale e l'opposizione, sotto tale profilo, era di conseguenza respinta.

Così chiarita la ratio dell'art. 63 disp.att.c.c., il Tribunale si è spinto anche a valutare se il condominio possa considerarsi titolare di un patrimonio aggredibile dal creditore. Sotto tale profilo, il combinato disposto dei comma 7 e 12, n. 4, dell'art. 1129 c.c. sembra non lasciare dubbi, laddove, il primo, obbliga l'amministratore a fare transitare su un conto corrente (postale o bancario) intestato al condominio tutte le somme ricevute dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate, per conto del condominio del condominio stesso; il secondo prevede invece, come motivo di revoca dell'amministratore, la tenuta da parte di costui di una gestione secondo modalità tali da ingenerare confusione “tra il patrimonio del condominio” ed il suo personale. Il condominio deve dunque munirsi di un proprio conto corrente che, proprio perché così ha previsto il nuovo legislatore, va a costituire il suo patrimonio distinto da quello dei singoli condomini, pure se formato dai versamenti che costoro sono tenuti ad effettuare in forza degli artt. 1118 e 1123 c.c.

Una volta che le somme vengono depositate sul conto corrente condominiale, esse sono sottratte alla disponibilità dei partecipanti al condominio, venendo automaticamente loro impresso un vincolo di destinazione d'uso nell'interesse comune, sulla base delle decisioni assunte dall'assemblea condominiale, vincolo determina l'elisione del legame giuridico tra singoli condomini e condominio. I contributi versati dai primi si confondono quindi con le altre somme già esistenti sul conto corrente e vanno in tal modo ad integrare il saldo a disposizione immediata del titolare del conto corrente stesso, così come dispone l'art. 1852 c.c., senza che assuma rilievo il fatto che la provvista provenga dall'uno o dall'altro condomino.

Pur mancando in capo al condominio qualunque soggettività e/o autonomia patrimoniale e continuando esso a configurarsi quale mero ente di gestione, è però innegabile che quando la gestione diventa effettiva il condominio si atteggia quale centro autonomo di imputazione di posizioni giuridiche. Non può pertanto negarsi che nel momento in cui, attraverso l'apertura di un conto corrente intestato all'ente di gestione, viene a costituirsi un patrimonio autonomo e distinto da quello dei condomini, si realizza una seppur minima autonomia patrimoniale derivante dalle attività di gestione che, per tale fatto, determina l'imputazione della titolarità di esse in capo esclusivamente al condominio (Trib. di Reggio Emilia, Ord., 16 maggio 2014). Nessun condomino ha titolo personale per l'eventuale restituzione delle somme affluite sul conto corrente perché ogni loro utilizzo deve essere deliberato dall'assemblea e affidato all'amministratore che pro tempore sta gestendo il condominio.

Può dirsi dunque che le somme confluite sul conto corrente intestato al condominio costituiscono un patrimonio autonomo dell'ente di gestione, aggredibile come tale in via principale dai creditori. Il credito pignorato è infatti quello alla restituzione delle somme ivi depositate che trova appunto causa nel rapporto di conto corrente, rimanendo prive di pregio le ragioni per le quali le singole rimesse sono state effettuate.

L'art. 63, comma 2, disp.att.c.c. non impedisce infatti al creditore, una volta individuati beni direttamente riferibili al condominio, di farne direttamente oggetto di pignoramento senza dovere preventivamente agire nei confronti dei singoli condomini, dovendo il debitore rispondere delle adempimento delle obbligazioni a lui contratte con tutti i suoi beni, giusto il dettato dell'art. 2740 c.c.

Mancando invece tali fondi imputabili al condominio, il creditore ha titolo per agire nei confronti dei singoli condomini al fine di recuperare il proprio credito. E' solo in questo caso che, proprio a protezione del condomino virtuoso, trova applicazione la tutela prevista dal citato comma secondo dell'art. 63 per cui il creditore del condominio può procedere nei suoi confronti solamente dopo avere dato prova di avere inutilmente escusso il patrimonio dei condomini morosi, il cui nominativo l'amministratore ha l'obbligo di fornirgli.
Trib. di Ascoli Piceno, 26 novembre 2015, n. 1287

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