Abuso dei mezzi di correzione e disciplina

16 dicembre 2015

Offendere e minacciare gli studenti integra l'abuso di mezzi di correzione e disciplina
Integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell'insegnante che umilii, svaluti, denigri o violenti psicologicamente un alunno causandogli pericoli per la salute, atteso che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell'altrui personalità. Questo è quanto stabilito dalla Sent. n. 47543 del 2015 della Corte di Cassazione.
di Alessio Scarcella - Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
La sentenza qui commentata si inerisce in un filone giurisprudenziale di legittimità che estende l'ambito applicativo dell'art. 571 c.p. a quei comportamenti posti in essere in ambito scolastico che si traducono in atti di violenza degli insegnanti nei confronti dei minori loro affidati per ragioni di istruzione. Nel caso in esame, in particolare, una insegnante era stata condannata per i suoi atteggiamenti offensivi e minatori nei confronti di suoi allievi, sia nell'anno scolastico 2007-2008, sia in quello 2009-2010. La donna si era difesa tentando di sostenere di essersi limitata a richiamare, con veemenza e in maniera decisa, le allieve che formavano un gruppo a sé stante nella classe, soggetti disattenti, poco interessati agli studi, sempre ribelli. La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito, considerando anche la valutazione di episodi non isolati e coinvolgenti un numero significativo di allievi, e pur sempre tenendo conto che il comportamento scolastico di tutti o parte degli allievi potesse non essere corretto, come lamentato dall'insegnante nelle sue difese.

Il fatto

La vicenda processuale segue, come anticipato, alla sentenza con cui la Corte d'appello aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale, nei confronti di un'insegnante dichiarata responsabile dei delitti di abuso di mezzi di correzione aggravato e continuato nel periodo dal 2007 al giugno 2010, nonché violenza privata aggravata; la donna, insegnante di inglese presso una scuola media, era stata in particolare condannata per rispondere del delitto di maltrattamenti, derubricato in quello di abuso di mezzi di correzione e disciplina, con riferimento ad atteggiamenti offensivi e minatori nei confronti di suoi allievi, sia nell'anno scolastico 2007-2008, sia in quello 2009-2010, nonché per rispondere del delitto di violenza privata per aver costretto tre sue allieve, le quali si erano lamentate con il dirigente scolastico per la pronuncia di espressioni offensive nei riguardi loro e dei compagni, a scrivere -sotto minaccia di bocciatura e di carcere con conseguenti risvolti per il certificato penale- una lettera diretta al dirigente scolastico con cui si ritrattavano le precedenti accuse verso l'insegnante.

Il ricorso

Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa dell'imputata, in particolare sostenendo, per quanto qui di interesse, l'errore in cui erano incorsi i giudici di merito, ritenendo sussistere il delitto di abuso dei mezzi di correzione, non avendo mai la stessa utilizzato espressioni inappropriate o offensive, ma di essersi solo limitata a richiamare, con veemenza e in maniera decisa, le allieve che formavano un gruppo a sé stante nella classe, soggetti disattenti, poco interessati agli studi, sempre ribelli.

La decisione della Cassazione

La Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha affermato il principio di cui in massima, rilevando come non corretta la tesi difensiva ed osservando anche come fossero infondate le censure sulla qualificazione giuridica dei fatti da parte della Corte d'Appello che aveva evidenziato la grave pressione minacciosa esercitata sulle allieve per indurle a scrivere la lettera di ritrattazione, rappresentando così un quadro chiarissimo di violenza privata, mentre erano rimaste nell'alveo dell'abuso le minacce di bocciatura e voti bassi per indurre le allieve a svolgere il tema che aveva per oggetto il preteso comportamento scorretto nei loro confronti degli altri insegnanti, comportamento peraltro significativo delle difficoltà relazionali della prevenuta anche con i colleghi docenti.

Utile, come di consueto, per meglio comprendere la soluzione della Cassazione, è un breve inquadramento giuridico. L'art. 571 c.p., sotto la rubrica "Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina", sanziona con la reclusione fino a sei mesi chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli artt. 582 e 583 c.p., ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.

Condotta penalmente rilevante è l'abuso di mezzi di correzione o disciplina; abuso che presuppone l'esistenza, fra il soggetto attivo e il soggetto passivo di tale reato, di un rapporto di affidamento che legittimi l'uso di poteri disciplinari finalizzati, sulla base dei principi costituzionali precedentemente richiamati, alla stessa protezione del soggetto nei confronti del quale tali poteri vengono attribuiti(Pittaro, Il delitto di abuso, 1998, 1330). Ciò alla luce di una valutazione che, calata nel caso concreto, storicamente inquadrata e oggettivamente ancorata alla natura o alla qualità del mezzo utilizzato, come tale appaia, in quanto il termine "correzione" deve essere assunto, anche alla luce del concetto di "genitorialità positiva" data dalla R 19/206 del Consiglio d'Europa come sinonimo di educazione. In tal senso, deve specificarsi che la stessa finalità correttiva mai potrà assurgere a valenza tale da consentire l'uso di una qualunque forma di violenza seppur di modica entità, a meno che non si rappresenti come mezzo necessario per tutelare la stessa incolumità del soggetto da proteggere, come ad esempio nel caso di trattamenti sanitari obbligatori (ma in tal caso opererebbe una causa di giustificazione).

Possibili soggetti attivi di tale reato sono: i genitori nei confronti dei figli minori (ai sensi dell'art. 147 c.c.); gli insegnanti nei confronti degli alunni; i titolari di un contratto di apprendistato nei confronti dell'apprendista; i medici e gli infermieri nei confronti dei ricoverati, le guardie carcerarie nei confronti dei detenuti sempre nei limiti di condotte che, produttive delle conseguenze dalle quali la legge ne fa dipendere la punibilità, si sostanzino in un abuso di mezzi di correzione che, la natura o le modalità del rapporto di correzione fra i soggetti instauratosi, consentiva (Bonamore, Illiceità della violenza fisica nell'esercizio dei poteri di formazione della persona umana, in DFP, 1997, 523; Pezzella, Insegnanti e limiti dello ius corrigendi, in DeG, 2003, 3, 10).

Con particolare riferimento agli insegnanti, nonostante che la disposizione li individui quali possibili soggetti attivi di tale reato, l'applicazione di un tale principio trova rari riscontri in giurisprudenza, in quanto, esclusa la legittimità di qualsiasi tipo di violenza fisica nell'esercizio di tale funzione, limitate sono le ipotesi in cui dall'abuso dei mezzi di insegnamento o educazione consentiti sia derivato un pericolo di malattia(Cass. Pen., Sez. VI, 15 dicembre 1982; Cass. Pen., Sez. I, 11 dicembre 1970; Cass. Pen., Sez. II, 7 febbraio 1959). Non integrano peraltro il delitto le condotte di un insegnante di un asilo nido non violente e tipicamente affettuose, non potendo esse essere interpretate, per la loro connotazione di piccolo eccesso o mancanza di misura nella relazione tra l'educatore ed il minore, come abuso in ambito scolare materno-infantile (Cass. Pen., Sez. VI, 12 febbraio 2013, n. 11795). Per l'esclusione della liceità di qualsiasi forma di violenza nei confronti del minore da parte dell'educatore: Cass. Pen., Sez. V, 16 maggio 2014, n. 25790). Interessante poi quella decisione (Cass. Pen., Sez. VI, 28 giugno 2007, n. 42648) che ha ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 81, comma 2, e 571 c.p., nonché del reato di cui agli artt. 81, comma 2, e 582 c.p. l'insegnante, in una scuola media di Stato, che per punire, emendare ed educare un alunno della propria classe ritenuto colpevole di bullismo, ha imposto a quest'ultimo -nell'asserito interesse di lui e dell'intera classe- di scrivere 100 volte in un quaderno la frase «io sono un deficiente» (nella specie, al soggetto passivo del presunto bullismo, di sesso maschile, era stato impedito, a suo dire, di accedere al bagno dei maschi affermando che il soggetto passivo era "gay" e "femminuccia" mentre apparentemente in contrasto il fare scrivere una frase ingiuriosa può costituire mezzo pedagogico-disciplinare in quanto rispettoso della incolumità fisica e psichica del minore tenuto conto delle particolari circostanze in cui l'insegnante si è trovata ad operare, della finalizzazione ad esigenze educative, e del comportamento complessivo dell'insegnante la quale aveva spiegato al minore e ai suoi compagni le ragioni del suo gesto cercando un dialogo costruttivo (Cass. Pen., Sez. VI, 31 maggio 2007, n. 40340).

Deve, quindi, convenirsi con Supremi Giudici i quali, nel caso in esame, hanno ribadito l'orientamento secondo cuiintegra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell'insegnante che umilii, svaluti, denigri o violenti psicologicamente un alunno causandogli pericoli per la salute, atteso che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell'altrui personalità (v., in senso conforme: Cass. Pen., Sez. VI, 14 giugno 2012, n. 34492, in CED Cass., n. 253654).
Cass. Pen., Sez. V, 1 dicembre 2015, n. 47543

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